mercoledì 24 giugno 2020

SE LO CONOSCI LO EVITI

Caro diario, 
ovunque si va sembra di entrare in fortezze pronte a sostenere attacchi con lanciagranate.

Bisogna fare percorsi obbligati come si dovessero evitare campi minati per giungere a 
piccole commesse, piazzate dietro paratie fatte di ogni cosa.

Sorge però una domanda a cosa servono tutte queste garritte? 
Se il virus è volatile ma tutto sommato pesante, non sarebbe meglio, a rigor di logica ridurre le superfici dove codesto virus si potrebbe depositare? Lasciare quindi che caschi a terra e poi pulire il pavimento? 

Cosa serve la torretta quando tutti siamo mascherati come tanti personaggi da fumetti, non sarebbe più logico un sobrio arredamento zen con pochissime superfici ipoteticamente ( ripeto ipoteticamente) contagiabili ma quindi facilmente pulibili?

Pensiamo alle farmacie attuali: un incrocio tra un supermercato e una postazione militare. 
Se il pericolo è il cosiddetto " sputacchio" o contatto, perché tutti quei prodotti in vista e al tatto e poi le torrette? 
Ricordiamo le farmacie di una volta dove il farmacista era un operatore farmacopeico, ovvero faceva lui gli intrugli? I medicinali non erano a portata di tatto ma chiusi in grandi armadi a vetrinetta.
Insomma regnava una sobrietà zen. 

Ora regna l'esposizione, l'affare, e sorge un dubbio: non è che anche queste protezioni non siano un altro affare, contro ogni logica? 
Ripeto:
Non sarebbero meglio poche superfici  facilmente pulibili con prodotti efficaci e non tossici?  E questo non per il Covid in sé ma come principio di igiene e sanità generale. 
Cosa ne pensa la mia amica biologa? 


Straf.



Caro diario, 
sentito che domande ci fa l’amico filosofo?
Ci fa le domande che dovrebbero “sorgere spontanee” se qualcuno avesse ancora la capacità di essere curioso. Ma di curiosi restano solo i filosofi, specialisti non nel trovare risposte ma nell’arte di saper fare le domande. 

A questo hanno puntato i nostri governi scegliendo la strategia dell’emergenza anti-Covid, alla incapacità della maggior parte dei cittadini di essere curiosi, farsi delle domande, chiedersi se le scelte politiche-sanitarie fatte appaiono congrue o meno, e andare ad informarsi per farsene un’idea. 

In ragione di questa incapacità dei loro “sudditi” non si sono dati la pena di implementare strategie intelligenti atte a minimizzare il rischio sanitario e nel contempo a minimizzare l’impatto socio-psico-economico di tali strategie… si sono limitati a fare la cosa più semplice, ti chiudo in casa così non fai danni, ti tappo la bocca così non rompi, e ti terrorizzo così non ti ribelli. 

E’ stato facile.
Ad esempio quei camion militari per trasportare i feretri alla cremazione, con relativo servizio video trasmesso e ritrasmesso su tutti i canali mainstream, come se non fosse stato possibile trasportarli con un qualsiasi mezzo non militare e senza dare risalto mediatico alla cosa, che ci ha davvero intristito molto, ma soprattutto ci ha terrorizzato.

Ad esempio l’obbligo alla cremazione, contro ogni significato scientifico, dato che in un corpo morto il contagio è molto difficile… primo perché il paziente morto non respira più e meno che mai parla o tossisce…  dato che ‘sto Corona è un virus che abita solo nelle vie respiratorie… e poi perché il virus è “vivo” solo quando si trova dentro una cellula ospite viva; fuori di essa non può assolutamente replicarsi… e poi ancora perché gli anatomo-patologi hanno sempre lavorato su cadaveri ben più infetti e nessuno ha mai fatto una piega.

E  a proposito di domande, dopo circa cinque mesi di pandemia, quanti sarebbero in grado di spiegare ad un bambino cos’è un virus? Pochi credo, pochissimi, tranne ovviamente medici biologi veterinari e affini. Persino da alcuni infermieri professionali mi sono sentita dire cose inverosimili sui virus, intendendo quindi che nessuno di essi si era dato la pena di andare a ripassare un minimo di virologia. 

Analogamente nemmeno la maggior parte dei cittadini si è preso la briga di digitare sulla barra di Google “cos’è un virus” e verificare che sarebbe comparsa nel riquadro a destra il riferimento ad una pagina di Wikipedia 
(https://it.wikipedia.org/wiki/Introduzione_ai_virus)
nella quale si spiega in modo semplice e dettagliato ciò che è utile sapere, e si riporta in calce una lunga bibliografia per chi volesse approfondire.

E comunque basterebbe sapere dei virus le nozioni fondamentali. Per esempio che non sono esseri viventi, ma entità biologiche non viventi che necessitano di entrare in una qualsiasi cellula vivente per poter utilizzare il suo apparato di duplicazione. Infatti, come ha detto in una intervista la Prof. Capua, “il progetto del virus è quello di replicarsi”.  Parole che sono state puntualmente fraintese, rimandando a scenari complottisti ipotetici di virus appositamente creati per ammazzare gli anziani e sfoltire l’umanità.

In realtà quelle parole hanno, per chi conosce un virus anche appena un poco, un significato molto diverso. Semplicemente descrivono il virus. Qualsiasi virus, ma proprio qualsiasi, non essendo un organismo vivente vero e proprio, è in realtà un “meme”, una unità di replicazione. 

Esattamente come il genoma di qualsiasi cellula vivente animale o vegetale. Il genoma ha il solo scopo di replicarsi. Non sa perché lo fa, ma appena viene in contatto con le opportune condizioni si replica.  Il perché lo sa la cellula, non il genoma. Lui è come un automa: esegue. 

Ora il virus è appunto un semplice genoma, ovvero un filamento di DNA o RNA, rivestito da una capsula di glico-proteine  o lipo-proteine. Su questa capsula ci sono proteine-gancio che si possono legare a specifiche cellule di uno specifico ospite. Una volta legato, il guscio proteico si rompe e il genoma entra in una cellula dell’ospite, la quale contiene gli enzimi e gli organelli che permettono al genoma di replicarsi. 
Ed è quello che avviene. Il filamento di DNA o di RNA forma moltissime copie di se stesso, fino ad invadere la cellula ospite e ad ucciderla. La cellula morta si rompe e le copie del genoma virale, che si erano pure ricostruite un nuovo guscetto proteico sempre utilizzando il materiale dell’ospite, vengono liberate e possono infettare un’altra cellula.

Detto questo possiamo già capire una cosa fondamentale: se i virus usciti da una cellula morta trovano lì accanto (sì, accanto, perché il virus non si può spostare da solo, al massimo può essere trascinato dai fluidi corporei) trovano lì accanto una cellula viva, possono entrarci e ripetere il tutto. Ma se l’ospite è morto e quindi tutte le cellule sono morte, il virus non avrà più alcuna possibilità di entrare in alcuna cellula. Cosa succederà dunque a questi poveri virus? Si disaggregheranno, aggrediti dagli enzimi proteolitici, attivi anche post mortem nell’ospite, grazie ai batteri della decomposizione, e quindi spariranno.

E se invece l’ospite non muore? Allora una parte dei virus riuscirà ad uscire dall’ospite ed andare ad infettare un altro ospite. Come? Bè, nel caso dei virus respiratori come i Corona, attraverso tosse, starnuti, e lo stesso parlare, attività che prevedono la fuoriuscita di micro-goccioline dalle nostre vie respiratorie. Quelle goccioline possono contenere quantità variabili di virus, ovviamente a seconda della carica virale dell’ospite. Più l’ospite è infetto, e quindi più virus produce, più è probabile che ne emetta di più.
Se qualcuno lì attorno inspira l’aria contenente le goccioline, ecco che il virus si è trovato un nuovo ospite.

E cosa accade invece se le goccioline emesse da un infetto non riescono ad entrare subito in un altro ospite? 
Ovviamente le goccioline si adageranno da qualche parte lì intorno. Il banco del farmacista pieno di scatolette per esempio. Oppure il pavimento.

Una volta depositati su di una superficie i virus restano lì, dato che abbiamo detto che non possono spostarsi autonomamente; a meno che ad esempio qualcuno tocchi con le dita la superficie infetta e poi magari si metta le dita nel naso o si strofini gli occhi vicino all’interno palpebra. 

Meno problematica è la loro ingestione: se le goccioline sono cadute sul sandwich che stavo mangiando, gli enzimi della saliva fanno strage del virus; difficile per lui raggiungere le vie respiratorie. 
Per avere però più chiaro il problema del contagio, c’è un’altra domanda che dobbiamo farci, anzi due.

La prima è questa: cosa accede ai virus che si depositano sulle superfici? Bè, non restano lì in eterno. Dipende comunque da dove sono finiti. Supponiamo ad esempio su una panchina dei giardinetti; ben presto i raggi UV disaggregheranno il loro involucro proteico (gli UV sono specialisti in questo, infatti vengono usati per sterilizzare!), oppure le proteine saranno ossidate dall’ossigeno dell’aria, o disorganizzate dal calore; o magari qualcuno si siederà sulla panchina, raccogliendo con i suoi abiti una parte dei virus, e magari distruggendone parecchi per effetti meccanici, e altri trasportandoli in atri luoghi.

I virus più sfigati secondo me sono quelli che cadono in strada, o sui pavimenti. Per un povero virus umano respiratorio cadere a terra è una vera iattura: quale ospite umano infatti potrebbe mai inalare un virus che aderisce al pavimento? Ma nemmeno se si mettesse sdraiato a terra a faccia in giù…   
E nondimeno abbiamo visto in città squadre di netturbini specializzati a “sanificare” le strade… quando invece raramente nelle città si “lavano” le strade, che sarebbe una regola igienica e anche di decoro da utilizzare sempre, soprattutto per abbattere le polveri  di metalli pesanti nelle zone più inquinate, magari per prevenire cancro, allergie e quant’altro.  
Questo andrebbe chiesto, invece di perder tempo con gli inquinanti dei vaccini che sono in quantità infinitesimali e vengono assunti una volta nella vita e non tutti i giorni come le polveri.

Ma passiamo alla seconda domanda: quanti virus devo inalare per ammalarmi? Uno? Mille? Un milione? Un miliardo?
Naturalmente non c’è una risposta precisa a questa domanda; dipende dalle capacità del nostro sistema immunitario. Per tanto scabercio che esso sia, una bassa carica virale (bassa non vuol dire uno o cento o mille, si parla di numeri molto alti) introdotta casualmente viene prontamente neutralizzata e cominciano a formarsi anticorpi. Se ad esempio ci troviamo nel parco, incrociamo un amico positivo asintomatico che si ferma a salutarci e ci starnutisce in faccia, è molto davvero improbabile  che ci succeda qualcosa, anche perché le goccioline emesse all’aperto tendono a disperdersi, e non ad infilarsi tutte nel nostro naso al prossimo respiro.  

Pensiamo invece a cosa può essere accaduto nelle RSA, dove se si infetta anche un solo paziente si ha la seguente cascata di eventi: il paziente è probabilmente anziano e malato, non riesce a formare velocemente gli anticorpi, i virus si replicano velocemente e il paziente comincia a tossire, emettendo in continuazione nuvolette virali in un ambiente chiuso dove la dispersione è minima e dove ci sono altri malati in giro che respirano le nuvolette prima che esse possano depositarsi… ben presto ci sarà un nuovo ammalato e le nuvolette infette raddoppieranno… e via così.. e ben presto la carica virale nell’aria sarà così elevata che anche il personale sanitario giovane e sano, immerso  per ore in quell’atmosfera, si ammalerà. 

Ed è anche chiaro che negli ambienti chiusi con un ricircolo interno della stessa aria con i condizionatori, le nuvolette di goccioline avranno molta meno possibilità di depositarsi tranquille sul pavimento, dal quale potrebbero essere rimosse con una semplice energica lavata.

Ecco che finalmente possiamo rispondere al nostro filosofo.
Sì, anche io penso che molti dei provvedimenti messi in atto sembrano assolutamente incongrui e non scientificamente giustificati. Anche io penso che sarebbe stato meglio educare le persone alla corretta igiene in caso di epidemia anziché richiuderla in casa, così alla prossima epidemia saremmo stati un po’ più preparati. 
I cittadini non sono tutti stupidi, semmai ignoranti (che ignorano), ed è compito di uno stato democratico e moderno sollecitarli, aiutarli e in caso di necessità obbligarli ad essere edotti. Invece di ripetere all’infinito il mantra restate a casa avrebbero potuto creare una serie di semplici e simpatici video-tutorial e farceli vedere fino alla nausea, nelle TV, alla radio, sulla metro, sui bus, sui giornali, promossi dai calciatori e dagli attori, e semmai “colpevolizzare” un pochino chi non vuole imparare, non chi portava a pisciare il cane a più di duecento metri da casa… e invece di inseguire come un criminale chi passeggiava su di una solitaria spiaggia invernale inseguendolo con l’elicottero, sarebbe stato meglio concedere maggiori gradi di libertà, non bloccare il lavoro per così tanto tempo, implementare corrette regole igieniche e soprattutto applicare un protocollo di protezione delle categorie a rischio.

Abbiamo caricato tutto sul personale sanitario, mettendolo gravemente a rischio, anziché lavorare immediatamente di prevenzione sul territorio, specie nelle case dove ci sono anziani per esempio.

Una volta di più abbiamo perso l’occasione di essere un paese all’avanguardia.

mercoledì 10 giugno 2020

PANDEMIE DEL PASSATO: LO STRANO CASO DELLA RECLUTA DI FORT DIX

Caro diario,
noi poveri pandemicanti allo sbaraglio siamo ormai passati attraverso tutte le fasi di reazione: dall’ottimismo dell’andrà tutto bene, alla rassegnazione delle file davanti ai negozi di alimentari come in tempi di carestia, al dubbio di alcuni che forse qualcosa non ci tornava, alla rabbia (sempre di alcuni) quando è saltato fuori che infatti qualcosa non torna proprio.

Nel frattempo, per rincuorarci, ci siamo inventati di tutto: aperitivi sui balconi oppure online, chiacchiere su zoom, teatrini su FB, e per i più impegnati chat di lettura condivisa e critica letteraria.

Io da brava biologhina ho letto molto sul tema della virologia, evitando accuratamente il Burioni di turno, e appositamente scegliendo testi editi “ante Covid”.

Uno di questi è un pamphlet del 2006, rieditato anche in formato e-book nello scorso febbraio.
L’autore, Paolo Gulisano, medico specializzato in Igiene e Medicina preventiva, appassionato di storia della medicina, affianca alla sua professione medica anche quella di scrittore saggista, e in questo testo ci racconta per sommi capi cosa accadde nel passato quando l’umanità fu colpita da qualche pandemia.

Orbene (eh che linguaggio dotto!), mi è venuto in mente di narrare anche a te qualcosa sulle passate epidemie, onde possa avere contezza di come il potere, qualunque esso sia, non esiti a cavalcare l’onda della paura per soggiogare il popolo ignaro, e spesso anche quello meno ignaro.  E comunque è sempre meglio essere meno ignari possibile, perché se abbiamo almeno una piccola speranza essa è riposta proprio nella nostra consapevolezza.
Ti invito perciò, se hai voglia di sapere qualcosa di più su questo argomento, a proseguire la lettura ancora per qualche minuto.

INFLUENZA SUINA: IL GRANDE BLUFF

Tutto ebbe inizio nel Febbraio del 1976, l’uomo era già stato sulla luna e il boom economico e demografico dell’occidente aveva già cancellato i disastri dell’ultima grande guerra.
Avvenne che in Gennaio, nella caserma di Fort Dix nel New Jersey, una recluta diciottenne si ammalò improvvisamente di influenza, o così pareva; ma in tre soli giorni la febbre altissima e la grave insufficienza polmonare spedirono il ragazzo al Creatore.

Una morte strana per un giovane di sana e robusta costituzione, pertanto si procedette all’autopsia. I polmoni del ragazzo erano completamente infiltrati di liquidi e agli esami microbiologici fu evidenziato un virus sconosciuto.  Si chiese dunque l’intervento del CDC (Center for Desease Control) e dai loro laboratori uscì il seguente verdetto: il virus era quello dell’influenza suina, un microrganismo che si trasmette raramente tra uomo e maiale sempre per via aerea, ma non mangiando le carni suine.

Scatta l’allerta, si scandaglia Fort Dix in cerca di altri ammalati e se ne trovano sette, ma dagli esami eseguiti direttamente dal CDC sono tutti contagiati (tranne uno) del virus influenzale “classico” e non da quello suino.
Si fanno altri prelievi in caserma, e pare che il CDC trovi altre presenze del virus suino, tuttavia nessuno si ammala.

Nondimeno il 14 Febbraio di riuniscono ad Atlanta la FDA, il NIH, il Servizio Sanitario del New Jersey e il CDC, e il 19 Febbraio il CDC dichiara in una conferenza stampa che a Fort Dix è stato isolato un nuovo virus influenzale.
La stampa si gettò a capofitto nella notizia, creando subito opportuni collegamenti con la non ancora dimenticata “Spagnola”, lasciando intendere l’ipotesi di una nuova strage.

Altre riunioni seguirono, questa volta anche a  Washington, e si cominciò a ragionare dello studio e produzione di un opportuno vaccino.
Fino ad allora c’era stato solo un morto, la sfortunata recluta di Fort Dix.

Le aziende farmaceutiche non caldeggiavano l’opzione del vaccino, paventando il caso che sarebbero seguiti più guai che profitti da tale operazione, così come l’OMS aveva manifestato scetticismo, e il 9 Marzo anche una commissione governativa riunita per decidere del vaccino uscì con un nulla di fatto, evidenziando che se l’epidemia fosse scoppiata e il vaccino non ci fosse stato… apriti cielo, ma se si fosse fatto il vaccino senza poi l’effettivo manifestarsi dell’epidemia il popolo avrebbe energicamente protestato per l’ingente spreco di denaro pubblico e per l’obbligo vaccinale imposto. 

Si decise infine che il vaccino s’aveva da fare e il più in fretta possibile, perché “meglio un vaccino senza epidemia che un’epidemia senza vaccino”. Così si disse.

Sorse poi un’altra diatriba tra chi voleva fare il vaccino ma tenerlo in serbo per un’eventuale inizio dell’epidemia, e chi invece voleva utilizzarlo a priori, perché “meglio una riserva di vaccino all’interno delle persone che all’interno dei magazzini”, questo era lo slogan.
Vinse la seconda e la corsa al vaccino ebbe inizio.

Le farmaceutiche sapevano perfettamente che sarebbe stato difficilissimo creare un vaccino relativamente sicuro ed efficace in così breve tempo, anche perché il materiale virale per iniziare era pochissimo, praticamente quello proveniente dalla povera recluta deceduta.  Si trattava inoltre di un ceppo virale a crescita lenta, mentre il tempo stringeva.
Decisero perciò di utilizzare anche altri ceppi virali simili per creare un ibrido a crescita rapida. Il vaccino così preparato avrebbe avuto caratteristiche diverse da quelle del virus che aveva ucciso il soldatino di Fort Dix, e le farmaceutiche interessate lo fecero presente, ma il governo diede ordine di proseguire.

Durante l’estate, mentre i biologi preparavano il vaccino, tra prove ed errori, (furono preparati anche incidentalmente due milioni di dosi utilizzando un ceppo sbagliato…), il governo preparava la campagna di vaccinazione per duecento milioni di cittadini americani. Il presidente Ford era in piena campagna elettorale per la rielezione e puntò molto su questo cavallo di battaglia.
Non c’era stato più nessun decesso per influenza suina, e l’opposizione al programma di vaccinazione aveva molti sostenitori, ma il caso volle che ai primi di Agosto, a Pittsburgh in Pennsylvania, morissero tre persone di una malattia simil-influenzale, e che pochi giorni dopo si presentasse qualche altro caso simile a Philadelphia e ad Harrisburg.

Si notò che tutti i soggetti colpiti erano “legionnaires” (=reduci) che il 21 Luglio avevano partecipato ad una riunione presso l’Hotel Bellevue Stratford a Philadelfia.

Anche stavolta la stampa ebbe buon gioco a descrivere dettagliatamente la misteriosa malattia che aveva colpito i reduci, i legionnaires come si dice in inglese, e ovviamente la bilancia cominciò a pendere vistosamente dalla parte della vaccinazione, mentre le farmaceutiche avevano il fiato corto perché sapevano perfettamente che non sarebbero mai riuscite a produrre 200 milioni di dosi in così poco tempo.

Il primo ottobre del 1976 iniziò il programma di vaccinazione contro l’influenza suina, che al momento pareva avesse ucciso solo la recluta e alcuni reduci.

Dieci giorni dopo a Pittsburgh morirono tre persone dopo l’iniezione del vaccino; il 13 Ottobre la Pennsylvania interruppe il programma vaccinale, seguita a breve da altri stati dell’Unione, mentre TV e giornali diffondevano notizie di parecchi altri decessi post-vaccinali in tutti gli USA, e moltissime segnalazioni di reazioni avverse al vaccino.

Il 24 Novembre alla CDC arrivò la notifica di un caso di sindrome di Guillaine-Barrè post-vaccinale, cui ne seguirono ben presto una cinquantina, che nei mesi successivi sarebbero saliti a qualche migliaio. Tale sindrome porta alla paralisi di gambe e braccia e a problemi respiratori.

Il 16 Dicembre fu ufficialmente interrotto il programma vaccinale.

Meno di un mese dopo, la prima settimana del 1977, due scienziati del CDC scoprirono che l’agente patogeno che aveva colpito i “legionners” non era il virus suino, non era nemmeno un virus, ma un batterio, cui venne dato il nome di Legionella.

L’Hotel Bellevue Stratford fallì.

Ford perse le elezioni.

Quarantacinque milioni di persone erano state vaccinate in soli 77 giorni, cosa che dimostra una efficienza pazzesca della macchina organizzativa americana, se non fosse che era stata messa in moto per una causa sbagliata.

Alla fine della fiera pare che l’unico morto di influenza suina sia stato lui, la nostra povera giovanissima recluta di Fort Dix, pace all’anima sua. Chissà come si chiamava?


Lucia Vignolo

domenica 24 maggio 2020

Caro diario,
vedi che non ti scrivo più da tempo.
Le parole mi risuonano nella testa, perdute in un vuoto di significato.

Fuori dalla mia testa invece le parole si accalcano, si spingono l’una con l’altra per trovare ciascuna una posizione privilegiata onde poter avere quella giusta visibilità che credono di meritare.
Del resto, trattisi delle parole degli “esperti”… scienziati o presunti tali, politici, giornalisti, opinionisti, tuttologi.
Nientologi più spesso.

Corrado Augias intervistato da Floris, ad esempio. Banalità ascoltate da altri e ripetute con garbata grazia mainstream. Contenuto informazionale uguale a zero.  Leccaculismo di regime uguale a cento. Magari ci sentiamo rassicurati.

Fuori dalla mia testa le parole impazzano, cercano disperatamente di entrare nelle mie orecchie.  Si affacciano dagli schermi televisivi, dallo smartphone, dalla radio, dai podcast,  e soprattutto dai social, specialmente da facebook la cui facilità d’uso consente la farneticazione di chiunque “non legga, non capisca, ma commenti” come dice la famosa vignetta delle tre scimmiette che una volta non vedevano non sentivano e non parlavano e ora si sono adeguate alla sottocultura imperante promossa e propagandata da tutti i governi che si sono succeduti.

Fuori dalla mia testa le parole si assembrano, senza incorrere nelle multe previste, e spesso miseramente annegano quando i fatti le smascherano. 
E’ bastato qualche primo dato statistico per far vacillare le fondamenta del lockdown, delle mascherine, dei divieti imbecilli, e di tutti quei provvedimenti che la voce inascoltata della scienza, quella non acquistata a gettoni di presenza, aveva indicati come assolutamente privi di alcuna evidenza scientifica.

Prendiamo la questione spiagge, ora attualissima. Ecco un luminoso esempio di surrealismo. La probabilità di contagio virale in spiaggia è vicino allo zero anche da vicino, a meno che non ci si starnutisca in faccia.

In spiaggia infatti potranno esserci i portatori sani, non certo coloro che hanno la polmonite e la febbre, che si presume si trovino altrove. I portatori sani difficilmente starnutiscono o tossiscono, e diffonderanno dunque il virus solamente attraverso le famose microgoccioline che escono dalla nostra bocca quando parliamo.
In quelle goccioline la carica virale sarà presumibilmente piuttosto bassa… diversamente l’individuo sarebbe ammalato. Se è sano è perché il suo sistema immunitario sta creando anticorpi che appunto abbassano e poi annientano la carica virale. 

Sarebbe dunque sufficiente avere l’accortezza di non avvicinarci troppo gli uni agli altri specie quando stiamo parlando, accorgimento che dovrebbe essere adottato non solo in spiaggia, e non solo per il Covid, ma anche quando “gira l’influenza”. 

Che senso ci sia poi nel proibire il sostare in spiaggia e consentire invece il passeggiarci, è davvero difficilissimo comprenderlo.  Certamente non “lo dice la scienza”, può darsi che qualcuno abbia ricevuto comunicazioni dagli extraterrestri, non sappiamo.

C’è poi la questione UV. Già, la radiazione ultravioletta, che come sappiamo è una delle componenti della radiazione solare. Quella che ci abbronza appunto. La radiazione ultravioletta ha alcune criticità: danneggia i tessuti, rompe le proteine, come il collageno e l’elastina, arriva persino a danneggiare il DNA delle cellule epiteliali. Per questo usiamo le creme protettive, per questo cerchiamo di non esagerare nell’esposizione al sole, per non ustionarci, per non rischiare il cancro della pelle, per non farci venire le rughe.  Ma proprio queste proprietà degli UV ci difendono dal contagio.  

Il povero Corona ha davvero poche chance. Il suo fragile guscetto proteico si spacca, l’acido nucleico resta allo scoperto e si sconquassa, e il poveraccio fa una brutta fine. 
Sarà per questo che gli UV vengono regolarmente usati per sterilizzare gli strumenti nelle sale operatorie e nello studio del dentista?
Insomma è chiaro che il virus sulla spiaggia crepa come la capra sotto la panca.

Ma ….. in mare, in acqua? … E se qualcuno ci piscia? Bè… “la scienza dice” che le urine sono sterili, sempre. Non contengono virus o batteri. A meno che non ci sia una infezione batterica in sede, ovvero in vescica (cistite) o renale. Nei laboratori di analisi infatti, quando l’esame completo urine segnala la presenza di microrganismi viene subito allestita la procedura microbiologica di individuazione dell’agente infettante.  

Ma se qualcuno sputa in acqua? La saliva contiene il virus.  Certo, il nostro portatore sano porterà i virus nella saliva e li sputerà in acqua. Nel mare, non in un bicchiere.  Nel grande volume di acqua che circonda l’untore sputazzante. Un grande volume d’acqua in movimento per il moto ondoso, che provvederà a diluire lo sputazzo virale fino a concentrazione omeopatica. Un grande volume d’acqua salata che favorirà la rottura del capside virale inattivando il microrganismo. 

E comunque, quanti bagnanti si divertono a inalare o bere l’acqua di mare? Quanto sarà dunque la probabilità che anche un solo virione integro entri nelle vie respiratorie del bagnante non infetto?  E lo sappiamo quanti virioni dobbiamo inalare perché ci si infetti? No, non lo sappiamo di sicuro, ma sappiamo che l’ordine di grandezza deve essere quella dei milioni.   

Fatte queste considerazioni potremmo comunque decidere di trascorrere i nostri weeckend in campagna, nei boschi, o proprio in montagna, non per timore del Corona naturalmente, ma per non incontrare quel ben più temibile virus che evidentemente ha contagiato già parecchia gente, ovvero il virus della follia.

C’è un vaccino verso tale virus? Non so, la scienza non lo dice, e se la scienza tace dobbiamo procedere per tentativi ed errori.
Un’idea potrebbe essere quella di prendere tutti gli infetti, ovvero politici, pseudoscienziati, tuttologi, giornalisti, che sono il vero focolaio, chiuderli in casa loro  a doppia mandata, buttare la chiave e inviargli attraverso tutti i mezzi di comunicazione possibili, dalla TV ai megafoni in giro per i loro eleganti quartieri residenziali, un preciso messaggio: “restate a casa, per favore, restate a casa, fatelo per il bene dell’Italia, restate a casa. Noi facciamo a meno di voi.”

Lucia Vignolo

sabato 9 maggio 2020

Caro diario,
ho trascorso quest’ultima decina di giorni a studiare. Ho smesso di seguire i TG e i vari Formigli Gruber Floris e compagnia cantante, e mi sono gettata a capofitto su libri scientifici, conferenze, articoli di settore, interviste dedicate (e non flash di cinque minuti) a scienziati (non virologi clinici). 
Ho persino riguardato alcuni testi universitari di chimica.  

In questi giorni di studio non sono riuscita a scrivere e anche ora faccio fatica: sarà la “sindrome dello studioso compulsivo”? quanto più studi tanto più sei consapevole della tua abissale ignoranza e resti ammutolito. Il contrario della sindrome di Dunning-Kruger: “chi meno sa più crede di sapere e parla a sproposito”.

Molti dubbi che già mi affliggevano hanno trovato riscontro: non ero evidentemente l’unica a nutrirli e adesso si sentono le voci sommesse ma autorevoli di scienziati, giuristi, economisti, psicologi e sociologi; voci che convergono non certo verso le solite teorie di improbabili complotti, ma vanno nella direzione di una ricerca di chiarezza e di denuncia per quello che si può certamente definire una inadeguata gestione dell’emergenza e, ancor più grave,  un pericoloso attentato alla democrazia.
Non tanto i DPCM del governo ma soprattutto la loro fantasiosa attuazione da parte di alcuni governatori e sindaci hanno dato vita ad episodi assai preoccupanti, evidentemente avvallati dal potere centrale che non ha fatto una piega invece di stigmatizzarli e riportare all’ordine i responsabili.
Forse il governo temeva di perdere credibilità? Ebbene è così che l’ha persa.
Non si spiega ad esempio perchè mai si sia fatto alzare in volo un elicottero per andare ad acciuffare (per multarlo ovviamente) un nuotatore solitario che malgrado il lockdown era andato a farsi una nuotata… ben difficile pensare che nuotare da solo in mare sia un comportamento a rischio per se stesso o per gli altri… e invece nessuno si era preoccupato di mettere in sicurezza le RSA.
E che dire del tipo che protestava ad altissima voce da dentro la sua automobile, e in spregio del diritto di protesta gli è stato comminato un bel TSO? Siamo a livello dei manicomi sovietici…
E perché il presidente Conte (avvocato degli italiani…) ha permesso al governatore Deluca di imporre la quarantena (pur se non positivo) a chiunque si fosse allontanato da casa per più di 200 metri? All’uopo sono state sguinzagliate le forze dell’ordine, alla ricerca di chi sconfinava anche di poco. Come se ciò costituisse un maggiore rischio di contagio.
Un gruppo di 200 avvocati ha inviato 15 giorni fa una lettera a Conte per evidenziare la incostituzionalità di molti provvedimenti e soprattutto della loro attuazione. Per ora non hanno avuto risposta. Vedi link https://www.youtube.com/watch?v=i8LMFQi2Mlo

Stanno uscendo allo scoperto una infinità di casi fortemente e immotivatamente lesivi della libertà e della dignità del cittadino, a fronte di una modestissima gravità di questa pandemia.
Sono stati pubblicati infatti alcuni dati ISTAT nonché un interessante recente studio su 7000 italiani testati col nuovo test sierologico (cioè la ricerca degli anticorpi, ovvero chi ha contratto l’infezione pur se asintomatico). Questi dati ridimensionano la letalità del virus che, a parte il caso Lombardia, pare addirittura inferiore a quello della influenza degli anni passati. Virus che, secondo il monitoraggio sierologico, era certamente presente in Italia (e quindi anche altrove) già dallo scorso autunno. 

Inoltre anche l’OMS ha esplicitato che, tolti gli assembramenti, il maggiore rischio di contagio lo si trova …. in casa! Cosa che non stupisce affatto chi ha qualche minima nozione di agenti infettivi e sanificazione degli ambienti eccetera.

Insomma emerge un quadro poco rassicurante il cui risultato finale parrebbe essere “la cura è più disastrosa del male”.  
E anche io ne sono convinta. Anzi aggiungerei un “molto”: la cura è molto più pericolosa del male.
Quindi smetto di parlare e torno a studiare.


domenica 3 maggio 2020

Caro diario, 
le attuali vicende, condite con le chiacchiere fatte con Lucia, mi hanno portato ad un vecchio ricordo.
È inevitabile, l'isolamento e l'incertezza spingono la mente non avanti, ma indietro nel tempo.

Mi è balenata in mente un 'immagine di tanti anni fa, di quando insegnavo.
È  il viso sconsolato di un collega in sala docenti.
Era il prof di scienze.
Gli domandai il perché di tale "sconsolazione".
Mi vece vedere i risultati di una verifica: era disastrosa. 

Lui si lamentava dicendo: "è mai possibile! Sono concetti fondamentali per mantenersi in buona salute, possibile che nulla interessi!".
Per consolarlo o per mandarlo in definitivo scoramento gli mostrai la verifica di storia.
La verifica era sull'affermazioni di alcuni diritti. 
"Habeas corpus" (1679) e 
"The Bill of Rights" (1689).
Anche quella: un disastro. 

Lui commentò sconsolato : "questo sarebbe un liceo di élite! Questa sarebbe la classe dirigente di domani?"
Questa ignoranza combinata di scienze e storia oggi la vediamo costantemente: nel quotidiano come nel delirio mediatico.
Delirio che tende poi a proliferare sul web.

Sta di fatto che la paura collettiva ha reso possibile un esproprio.
Non esiste più un "Habeas corpus", tu non hai più un corpo, il corpo è proprietà del virus, e per combattere codesto virus, tutto è lecito.
Si, a distanza di anni, posso dire che avevamo ragione ad essere pessimisti.

La situazione attuale è frutto di antica ignoranza. 
Certo, si può obiettare che magari eravamo scarsi docenti. Forse.
Ma la situazione non cambia: tutti abbiamo avuto docenti scarsi e docenti magnifici.
S'impara oltre e malgrado la scuola.
Le biblioteche sono gratis, su internet trovi di tutto. Sta ad ognuno di noi decidere se visitare un sito porno, uno di vendita o uno culturale.
Insomma ci sono tante cose da ricostruire, tante cose da riappropriarsi,  proviamo ad iniziare dalla cultura, non si sa mai.

Straf.

venerdì 1 maggio 2020

Caro diario, in questi giorni o meglio in queste notti la mente vaga in cerca di luoghi dai cari ricordi. 
Ho sognato spesso Parigi e Torino.
In questa improbabile urbanistica onirica il lungo Po ed il lungo Senna si mischiano in passeggiate da sogno.

Al risveglio la mente non accetta il confino nella propria camera e continua a vagare nei ricordi.
La mente vaga quando da giovane cazzeggiavo a Parigi nutrendomi di letteratura e filosofia.
Ho avuto modo di apprezzare la filosofia francese, specie l'epistemologia, così diversa da quella anglosassone.

Il risveglio non si arrende e cerca nella libreria qualcosa che renda vivo il ricordo.
Ho pescato George Canguilhem. 
Grande personaggio: studioso  di biologa, filosofia e storia della scienza.
La sua rilettura mi porta drasticamente dall'oggi, in un modo tragicamente profetico.
Il normale, il patologico, il mostruoso temi delle sue analisi mi coinvolgono, caro diario.

Oggi, si dice che il virus sia "uscito" da un laboratorio oppure trasmesso dai pipistrelli, poco importa l'effetto è lo stesso, l'uomo emerge come creatura fragile, non separa ma contaminata dalla mostruosità.

L'animale o la manipolazione possono contaminarlo.
È come si reagisce a tale contaminazione? Con il controllo.
Ecco svelato il contatto da Canguilhem e Foucault. Tra il filosofo del mostruoso e quello del controllo dei corpi.
È chiaro dove stiamo andando. 
Io, stanotte spero ancora di sognare una passeggiata a Parigi.

Straf.
Caro diario,
questa provvisoria comparsa di animali selvatici in luoghi altamente urbanizzati, come la medusa nella laguna veneta,  mi suggerisce alcune considerazioni.
Eccole.

Si parla sempre di umani che "invadono" luoghi da cui dovrebbero essere esclusi, ad esempio il bosco, come se la vita dell'uomo dovesse per qualche ragione essere confinata nel tessuto urbano; e sembra che già l’andare per funghi sia una violazione territoriale.

Certamente l’uomo si è ritagliato una nicchia, ovvero città e paesi, nicchia attrezzata appositamente mediante sovrastrutture tecnologiche, dalla casa alle fognature alla rete elettrica e quella viaria, e così via.

L’animale selvatico ne sta solitamente fuori solo e soltanto se è un ambiente che non gli si addice, salvo sporadiche incursioni sicuramente casuali o determinate dall’avvistamento di cibo; pensiamo a cinghiali e volpi ad esempio.
Ma se l’ambiente urbano gli è congeniale non si fa alcun problema ad occuparlo. Pensiamo a zanzare, scarafaggi, mosche, lombrichi, formiche, ratti… ma che dire poi di batteri e virus? Eh già… anch’essi sono animali eh? O vediamo solo i cerbiatti e l’orsa Daniza?

Molte specie non solo invadono le nostre città ma anche il nostro stesso corpo.
E lo fanno da sempre eh, non solo da quando noi umani siamo diventati tanti e tecnologici.
Anzi, un viaggio indietro nel tempo, tipo antico Egitto, antica Roma, ci farebbe immediatamente comprendere quanto più numerose erano le specie animali che “invadevano” la nicchia umana.
Ma anche noi umani stiamo invadendo…. Dirai tu. Sì sì certo, volevo solo sottolineare che si tratta di un fenomeno bidirezionale e non unidirezionale come sento sempre dire in ambito di quella pseudocultura verde che vede solo la punta dell’iceberg.

Ma allora, vogliamo dire che è giusto che noi invadiamo il bosco e distruggiamo il formicaio, e peggio desertifichiamo le foreste per coltivarci il mais e sventriamo montagne per costruire tunnel,  così come ad esempio il virus invade i nostri corpi?
Ebbene è chiaro che non è così. Perlomeno dovrebbe essere chiaro a tutti.

E’ un po’ come nella boxe: non si fa un incontro tra un peso piuma e un peso massimo.
Noi umani siamo la specie dotata di una intelligenza estremamente maggiore rispetto alle altre specie. Ma non sempre facciamo cose intelligenti. Abbiamo una Ferrari ma a volte procediamo a piedi.

Sappiamo benissimo che nella creazione della nostra nicchia vitale “ci conviene” (sì appunto, ci conviene!) rispettare il più possibile l’ecosistema, perché sappiamo anche che ogni ecosistema ha un suo equilibrio.
Sappiamo anche che la natura tende a riequilibrare gli ecosistemi disequilibrati. E tutta la nostra tecnologia può aiutarci, e anche molto, solo se procede in direzione di tale equilibrio.
Però facciamo finta di non saperlo.

Allora io spero che questa bellissima immagine della medusa nel Canal Grande diventi una specie di bandiera; la bandiera del Mondo, quel grande immenso Paese dove abitiamo tutti, piante e animali, noi compresi, insieme, intrecciati gli uni agli altri e interdipendenti.

E spero che questa bandiera ci ispiri ad un uso più ragionevole della natura e della tecnica.  
Magari un po’ meno vaporetti e un po’ più gondole? 
Un po’ meno viaggi alle Seychelles e un po’ più picnic nei prati? 
Un po’ meno apericene e un po’ più spaghettate a casa con gli amici? 
Un po’ meno allevamento di bovini e un ritorno al pesce azzurro? 
Un po’ meno cani negli appartamenti in città e un po’ più di camminate nel bosco per osservare i cerbiatti nel loro ambiente naturale? 
Magari giocare a golf o andare a cavallo o in bicicletta invece che fare il giro a piedi del centro commerciale? 
E riscoprire il teatro, il cinema, la biblioteca, la visita alle mostre, la maratona cittadina, e insomma tutti quegli svaghi che ci consentono di lasciare a casa l’automobile?

Insomma la ricetta sarebbe non sprecare. Non sprecare tempo lavoro denaro suolo acqua energia e materie prime per produrre troppi beni di consumo, solitamente inutili, e riconvertire l’economia alla produzione di servizi che aumentino la nostra cultura e il nostro benessere. Quella sarebbe una economia più “sostenibile”.

Lucia Vignolo


SE LO CONOSCI LO EVITI

Caro diario,  ovunque si va sembra di entrare in fortezze pronte a sostenere attacchi con lanciagranate. Bisogna fare percorsi obbl...